Colonne sonore per mostre

Le grandi mostre d’arte stanno diventando sempre più spettacolari, in senso letterale. Se prima il curatore provvedeva personalmente a dlsporre i quadri esposti e ad illuminarli con qualche faretto, ora ci si rivolge a light deslgner, scenografi e perfino a registi. Anche per i compositori si è aperto un nuovo campo d’azlone, perché prima le mostre d’arte in genere si visitavano in assoluto silenzlo o tutt’al più col sottofondo di musiche dell’epoca dell’artista, mentre ora anche la musica è parte dell’allestimento d’una mostra. Abbiamo chiesto a Nicola Campogrande, che è stato probabilmente uno del priml a comporre musiche ad hoc per una mostra ed è sicuramente il più attivo in questo campo, come si è arnvatl a dare importanza allo spazio sonoro in cui le opere d’arte sono esposte.
“L’inizio – ci ha risposto il compositore torinese – è legato a un’idea di Artificio Skira, che nel 2003, a Milano, curava l’allestlmento dell’esposlzione dedicata a Modlgliani. Si voleva arricchire l’esperienza del visltatore, fargli perepire quasi fisicamente l’emozione di un pittore che dipingeva in uno stato di coscienza modificato, e per farlo si era pensato – in modo anche coraggioso, se si vuole! – di sovrapporre alle opere esposte il lavoro di un altro artista, un compositore. A me venne l’idea di scrivere una partitura nella quale trovassero posto dei lunghi glissati artificiali, delle distorsioni che richiamavano le deformazioni tipiche delle figure di Modigliani, e la cosa ebbe successo”.
Che ruolo può avere la musica in una mostra?
“Ogni volta lo scopo è quello di avvicinare il visitatore alle opere, provando a stimolare la sua sensibilità, la sua curiosità, perché poi si aprisse il più possibile alla visione. Per “Africa. Capolavori da un continente” (Torino, Galleria d’Arte Moderna) avevo ideato cinque diversi ambienti sonori che collocavano le opere in un contesto pulsante, vitale, del tutto non museale; per “Sebastiano del Piombo” (Roma, Palazzo Venezia / Berlino, Staatliche Museen) l’idea è stata quella di declinare musicalmente uno degli aspetti della personalità del grande pittore rinascimentale, immaginandolo al liuto – strumento del quale era un virtuoso – alle prese con una immaginaria versione musicale delle sue opere più celebri; per “Palladio. La grande mostra”  (Vicenza, Palazzo Barbaran da Porto, fino al 6 gennaio 2009 / poi Londra, Royal Academy of Arts, dal 31 gennaio al 13 aprile) la sfida è stata invece quella di creare emozione e calore intorno a oggetti (progetti, descrizioni, maquettes) non immediatamente fascinosi per un pubblico non esperto”.
Come pensa la musica in rapporto all’artista esposto, al luogo della mostra, all’itinerario che il visitatore compie per vedere le opere?
“La musica può interagire con la mostra in modi diversi. In alcuni casi può essere un sottofondo garbato alla visita; in altri presentarsi in modo quasi cinematografico, con una diffusione più potente e spazialmente distribuita; può essere collocata in uno spazio a sé, come esperienza artistica ulteriore rispetto alla visione delle opere (per “Sebastiano del Piombo” la si ascoltava in un’apposita saletta che chiudeva la visita); per “Palladio”, invece, insieme al biglietto d’ingresso viene distribuita anche un’audioguida che contiene il mio “percorso musicale d’autore”, così che ognuno lo può utilizzare in modo autonomo, con un ascolto indipendente e di alta qualità”.
Stiamo assistendo alla nascita d’un nuovo genere?
Ne sono convinto. La musica per le mostre ha caratteristiche sue proprie, tecniche e stilistiche. Io le sto esplorando a poco a poco, in modo un po’ pionieristico, e ho sempre più l’impressione di contribuire a fondare un genere musicale a sé. Con risultati per me anche eclatanti: la mia “Musica per Sebastiano del Piombo” per qualche tempo è stata ai vertici della classifica di vendite, per la musica classica, nello store di Itunes!”
– Mauro Mariani , Il Giornale della Musica, November 2008