An exploration of our present life.
Composer’s notes (in Italian)
Un musica che declini il presente
Il mio studio, a Roma, è in una casa degli anni Trenta. Mi immagino come fosse settant’anni fa la stanza dove ora io lavoro: vedo mobili, libri, quadri che fanno tutt’uno con il mosaico del pavimento; vedo l’armonia di un luogo coerente, in cui la scrivania e la penna stilografica, la radio e il servizio di piatti, la grafica delle riviste e il taglio dei vestiti raccontano un gusto, un’epoca, e con loro un mondo che li ha partoriti.
Guardo invece questa stanza ora e trovo, su un lato, una libreria Ikea e, di fronte, un pianoforte di inizio secolo. Il tavolino davanti al divano (sempre Ikea) è in realtà un buffo sottovaso di zinco, appoggiato su un tappeto kilim molto colorato e con sopra un telecomando, un saggio sulla percezione, un cd con i Concerti di Rachmaninov e un altro con i successi di Norah Jones. Le tende arrivano dal Bangladesh mentre il cucchiaino argentato vicino alla tazza del tè proviene dal servizio di un vecchio caffé viennese.
Vivere in un mondo complesso, frequentare quella “molteplicità” che ci insegnano essere oggi l’anima delle cose, credo significhi questo: avere paura delle definizioni assolute, assertive. Non mi piacerebbe abitare in una casa uscita dal catalogo Ikea, ma mi diverte averne dei tasselli; troverei terribile trovarmi intorno l’arredamento pesante dei miei nonni, ma mi fa piacere usare i cucchiaini d’argento del caffé Sohneiderhan.
Con la musica, a me, succede la stessa cosa. Non mi piace creare un mondo sonoro coerente con una regola data (magari da altri) e preferisco inventare il modo per gestire, per organizzare, per comporre gli stimoli sonori che mi vengono incontro. Il che non significa avere un atteggiamento banalmente eclettico: significa conoscere la storia, le ragioni dei gesti sonori che si utilizzano. Negli ultimi cinquant’anni nella composizione ha predominato un atteggiamento di rigore nei confronti della musica del passato: niente tonalità e armonie consonanti, niente ritmi riconoscibili, niente temi da ricordare; e questo produceva, quasi sempre, niente “musica per orecchie”. Qualcuno gli ha opposto un rigore contrario: armonie sempre consonanti, ritmi semplificati (spesso derivati dal pop), temi sciocchi da musichina di sottofondo; e il risultato il più delle volte è stato tragicamente banale. Altri ancora si sono dati alla contaminazione (che personalmente detesto), annullando la forza dei singoli ingredienti sonori – e culturali – in una miscela indistinta e insapore.
Io credo che, con fiducia e allegria, si possa allestire una partitura arredandola con gusto, creandosi un linguaggio dove non esistono preclusioni e i mobili Ikea convivono serenamente con il pianoforte di inizio Novecento, il cucchiaino del caffé Sohneiderhan con il telecomando.
Questa “Sinfonietta” è nata così: guardandomi intorno, provando a riflettere su che cosa mi piace davvero, giocando con l’orchestra e cercando di fondere il tutto in uno specchio nel quale forse anche altri si possono riconoscere. Chissà se ci sono riuscito.
(nicola campogrande)
Instrumentation
2.2.2.2 – 2.2.0.0 – strings
Details
Commission Orchestra Filarmonica di Torino
Duration 11′
World Premiere Paris, Unesco Auditorium
October 4, 2001
Orchestra Filarmonica di Torino, Marzio Conti (cond)
Published by Casa Musicale Sonzogno