Danze del riso e dell’oblio

Dances of laughter and forgetting, for accordion and piano

Alberto Fantino, accordion
Antonio Valentino, piano

cd STRADIVARIUS, 2005

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  1. Valzer del riso e dell’oblio
  2. Milonga della terra che divora
  3. Minuetto del piccolo acrobata verde
  4. Rumba Barozzi
  5. Sarabanda dell’alba che non si doveva incomodare
  6. Sirtaki del vento protettore
  7. Charleston dei sogni intermedi
  8. Habanera della cattedrale sospesa
  9. Musette dell’angelo dimenticato
  10. Rumba della lieve magnolia ghiacciata
  11. Passacaglia del viaggio obsoleto
  12. Milonga della farfalla impegnata
  13. Marcia delle cose che non lasciano ricordo
  14. Tango della fine del mondo

Dancing in a concert hall.

Composer’s notes (in Italian)

Danzare in sala da concerto
La fisarmonica è lo strumento della danza par excellence. Nell’immaginario collettivo, dove c’è qualcuno che agita il mantice c’è anche qualcuno che balla. Per questo spesso i cultori della musica classica storcono il naso davanti a una fisarmonica: per loro è uno strumento destinato a musica funzionale, all’intrattenimento più blando, non a partiture da ascoltare con attenzione all’Auditorium.
Beh, si sbagliano: la fisarmonica ha molte altre vocazioni ma, soprattutto, la danza vive anche nelle sale da concerto.
La grammatica della musica che ascoltiamo abitualmente nelle nostre sale, quella del “grande repertorio”, è nata grosso modo nel Seicento. E si è strutturata, si è data la forma che oggi conosciamo, grazie alla danza. Prima la musica era al servizio di un testo, per lo più sacro. Sentivi dei suoni, ma pensavi alle parole. Solo incrociando i ritmi e gli schemi regolari della danza la musica si è guadagnata una sua autonomia. Le Suites di danze di Bach non sono un omaggio ad una cultura altra rispetto a quella alta: la danza offriva al Maestro la possibilità di costruire musica sopra schemi ritmici e metrici regolari, gli faceva intravedere l’esistenza di cadenze, di ripetizioni, di quelle formule che, nel classicismo, diventeranno i temi, le frasi musicali che oggi canticchiamo sotto la doccia. Senza la danza, dunque, non ci sarebbe la “grande musica”; e senza strumenti che ci fanno danzare, prima o poi smetteremmo di ascoltare. In queste Danze del riso e dell’oblio, in queste danze per sala da concerto, la fisarmonica ha un partner. L’uomo sbagliato, verrebbe da dire: sposarla con un pianoforte ha infatti qualche cosa di assurdo, perché ci sono troppi tasti, troppe note che si sovrappongono, due tessiture che si accavallano, due virtuosismi che si intrecciano. Ma, come talvolta accade, l’incontro tra personalità esuberanti può diventare eccitante. E in questo caso credo che il matrimonio sia riuscito.
Il pianoforte porta in dote la sua serietà, l’austerità della sua storia, il romanticismo della sua tradizione e la potenza dei suoi giochi percussivi; la fisarmonica ha dalla propria la possibilità di respirare, di cambiare voce e timbro, di dilaniare il cuore se si mette a fare la languida ma anche di far danzare un’intera platea se decide di esibire l’energia del proprio virtuosismo. Insieme, dunque, fanno scintille: non è sempre facile realizzare l’incastro, questo no, ma, quando si riesce, l’effetto è sorprendente.
Così, con questa coppia bizzarra, sono andato a passeggio attraverso danze di tutte le epoche, dalla sarabanda alla rumba, dalla marcia al tango, dal valzer al sirtaki. Sono stato a fare visita a luoghi, a persone, a immagini che hanno lasciato qualche memoria di sé nei titoli (ma non bisogna spiegare troppo, altrimenti la musica a che cosa serve?). Qualche volta le forme della tradizione sono state rispettate con attenzione. In altri casi la danza è diventata uno spunto, un pretesto per esplorare territori del presente, regione sonore che non hanno ancora un nome.
Per gli amanti del dettaglio tecnico e i conoscitori del caotico mondo della fisarmonica – mille modelli, mille estensioni, mille meccaniche…: la partitura è stata scritta per una fisarmonica tradizionale (non a bassi sciolti) e con un’estensione che dovrebbe permetterne l’esecuzione su qualunque strumento. In ogni caso, il compositore autorizza l’interprete ad arrangiarsi se trovasse qualche nota fuori estensione o qualche registro inesistente sul proprio strumento. Giuro che io ho fatto il possibile. 

Press

La fisarmonica evocata da Campogrande è una sorta di intrigante ombrello dove trovano ospitalità innumerevoli nostalgie musicali – non banali citazioni né semplici camuffamenti – tutte sotto il segno d’una danza. La lettura dei titoli, da sé, vale un campionario di passi e di paesaggi geo-sonori (…). Ma non ci si deve fermare alle apparenze: Campogrande non scrive musica da ballo ma pagine in cui il ballo è una presenza intellettuale, un’eco, un enigma storico-sentimentale, un sasso sonoro lanciato nell’immaginario di un ascoltatore medio senza pregiudizi. Del resto già lo sposalizio col pianoforte, e un pianoforte abbastanza fedele al suo mondo sonoro e tecnico, rende in più numeri le Danze del riso e dell’oblio non un gioco di facile identificazione-imitazione linguistica (che tuttavia non manca) né una scontata strizzata d’occhio agli appassionati del falso etnico in musica (qua e là, comunque, additato con garbata ironia) ma un’elegante ginnastica emotiva. E il dialogo tra i due strumenti a tastiera, uno percussivo e uno ad ancia, si dipana con maliosa facilità grazie alla bravura e allo spirito dei due interpreti: come in un anomalo recital (nato su commissione del Comune di Castelfidardo, capitale mondiale della fisarmonica) che non ha bisogno di locandina né di programma di sala per sedurre.
– Suonare News, September 2005

Campogrande è musicista dal passo intimo, cameristico, e insieme capace di ironie anche grottesche, come rivelano alcuni dei titoli. Evoca atmosfere, invita a danzare nel tempo della musica che fu, zensa rumore; e il «Tango della fine del mondo” ha una grazia da felice scampagnata in campagna, tra lusinghe e dolcezze nostalgiche.
– Sandro Cappelletto, La Stampa, June 19, 2005

Danses du rire et de l’oubli, voilà un joli titre, en plein accord avec cette musique riante et oublieuse. Pour accordéon et piano – l’accordéon est l’instrument par excellence de la danse populaire -, dans un langage écrit, développé et véritablement composé alors qu’il intègre plusieurs éléments de jazz (sans improvisation aucune), avec d’inévitables apports latino-américains et une note d’humour délicat et de références classiques d’excellent aloi. De la valse “charlestonisante” à la musette “sarabandesque”, Nicola Campogrande surfe avec intelligence et élégance, toujours du bon côté du bon goût. On aura le droit d’aimer ou de ne pas aimer, mais en aucun cas de dire que “ce n’est pas bon”, car voilà de la musique très soigneusement composée, qui devrait autant plaire au néophyte, pour des raisons purement hédonistes, qu’au mélomane qui s’amusera à retrouver les centaines de clins d’oeil de Bach à Prokofiev!
– Abeille Musique

Nicola Campogrande ricorda, presentando questo suo disco di lunatiche e lunari danze senza corpi,che la gente pensa che “dove c ‘è qualcuno che agita il mantice c ‘è anche qualcuno che balla”; vero, il mantice è come il polmone del ballerino,che si riempie d ‘aria umida e calda per esprimere emozioni umide e calde,avvinto a un lui o a una lei. Il compositore ha scritto coltamente per accordion, uno strumento storicamente portatore di anonime infinite pagine scritte da suonatori del popolo e per il popolo. Uno strumento che è mille modi di essere fisarmonica, organetto, bayan, accordion e che è mille tradizioni di europe larghe e migrate oltre oceani. Le Danze del riso e dell ‘oblio sono state commissionate da Musicat e dal Comune di Castelfidardo, capitale dei fabbricanti di fisarmoniche italiane; Alberto Fantino suona, accompagnato al pianoforte da Antonio Valentino, un bayan della ditta Bulgari;il concerto è andato in tournée in Israele e Palestina. Valzer, milonghe, minuetti, rumbe, sarabande, sirtaki, charleston, habanere, musette, passacaglie, marce e tanghi attraversano una miriade di citazioni facili (Satie, il tango sino a Piazzolla e Galliano, Paolo Conte), e alla fine rimane una sala da concerto con una malinconia di sala da ballo vuota e muta con un solo cono di luce su chi suona l ‘essenza di musiche scorporate dalla danza. Qualcosa di davvero dentro alla natura essenziale della musica “classica “, anche se scritta da un “contemporaneo “.
Daniele Martino, Il Giornale della Musica, November 2005

 

 

February 22, 2018